Alberto Moravia (per l’anagrafe Alberto Pincherle: il cognome Moravia è quello della
nonna paterna) nasce il 28 novembre 1907 a Roma, in Via Sgambati, da un’agiata famiglia borghese.
Il padre, Carlo Pincherle Moravia, architetto e pittore, è di origine veneziana, mentre la madre,
Gina de Marsanich è di Ancona. Terzo di quattro figli (Adriana, Elena e Gastone, nato nel 1914),
Alberto ha una «prima infanzia normale benché solitaria».
All’età di nove anni si verifica «il fatto più importante della sua
vita», quello che l’autore stesso riteneva avesse inciso «sulla sua sensibilità
in maniera determinante»: la malattia da cui non guarirà del tutto che verso i diciassette
anni, lasciandolo leggermente claudicante. All’età di nove anni, infatti, Alberto si ammala
di tubercolosi ossea, malattia dagli atroci dolori che lo costringe a letto per cinque anni: i primi
tre a casa, e gli ultimi due nel sanatorio Codivilla di Cortina d’Ampezzo. Durante questo periodo
i suoi studi (interrotti alla licenza ginnasiale, suo unico titolo di studio) sono irregolari. Tuttavia,
legge innumerevoli libri, soprattutto i classici e i massimi narratori dell’Ottocento e del
primo Novecento (Dostoevskij, Joyce, Goldoni, Shakespeare, Molière, Mallarmé, Leopardi
e molti altri); scrive versi in francese e in italiano, e studia tedesco.
Dopo aver lasciato il sanatorio nell’autunno del 1925, durante la convalescenza a Bressanone,
in provincia di Bolzano, dà inizio alla stesura de Gli indifferenti, che verrà pubblicato
con gran successo nel 1929. La sua salute rimane fragile ed è costretto a vivere in alberghi di
montagna passando da un luogo all’altro. Nel frattempo, tuttavia, entra in contatto con Corrado
Alvaro, Massimo Bontempelli e la rivista «900», su cui pubblica nel ’27 la
novella
Cortigiana stanca.
Grazie al successo del suo primo romanzo, Moravia s’inserisce nell’ambiente letterario e giornalistico, e si intensificano le sue collaborazioni su riviste. Nel 1930 alla Consuma, presso Firenze, dove si stabilisce per due mesi, conosce Berenson e gli fa leggere
Gli indifferenti.
Intanto il conflitto con il fascismo, iniziato in seguito all’uscita proprio di quel romanzo, si acuisce. Spinto dall’ansia d’evasione dal clima oppressivo del regime, inizia a viaggiare. Con vari articoli di viaggio, collabora dal 1930 a «L
a Stampa», allora diretta da Curzio Malaparte. Soggiorna a lungo in Inghilterra, dove conosce E.M. Forster, H.G. Wells, Yeats; e a Parigi, dove nel salotto letterario della principessa di Bassiano (cugina di T.S. Eliot), incontra Fargue, Giono, Valéry e il gruppo che si chiamerà «Art 1926».
Nel 1933 con Pannunzio fonda sia la rivista «
Caratteri», di cui escono solo quattro numeri, sia la rivista «Oggi», l’attuale testata omonima. Nel 1935 una cattiva accoglienza è riservata al suo secondo romanzo,
Le ambizioni sbagliate (censurato dal regime). Nello stesso anno passa a collaborare alla «Gazzetta del Popolo»; e si allontana dall’Italia dove la vita gli stava diventando difficile. Tra il ’35 e il ’36 è negli Stati Uniti, su invito di Giuseppe Prezzolini, che dirige la Casa Italiana della Columbia University di New York; qui tiene tre conferenze sul romanzo italiano, discutendo di Nievo, Manzoni, Verga, Fogazzaro, D’annunzio. Dopo una breve parentesi in Messico, ritorna in Italia, dove in poco tempo scrive
L’imbroglio (1937), libro di racconti lunghi con cui inizia la sua collaborazione con la casa editrice Bompiani.
Se si eccettua il viaggio in Cina nel ‘36, e il breve soggiorno in Grecia nel ’38 (dove ad Atene frequenta saltuariamente Montanelli), gli anni tra il 1933 e il 1943 sono per Moravia, che è ebreo per parte paterna, «dal punto di vista della vita pubblica, i peggiori della sua vita».
Per eludere il controllo e la censura del regime, che guarda con sospetto alla sua produzione narrativa, Moravia sceglie la strada dell’allegoria, dell’apologo, della satira e dell’analogia. Ne nascono i racconti surrealistici e satirici,
I sogni del pigro (1940) e il romanzo
La mascherata (1941). Ma quest’ultimo viene sequestrato alla seconda edizione e Moravia non può più scrivere sui giornali, se non con uno pseudonimo – quello di Pseudo. Sotto questo nome collabora spesso alla rivista di Curzio Malaparte, «Prospettive».
Nel 1941 sposa
Elsa Morante, che ha conosciuto nel ’36 e con cui vive a lungo a Capri. Qui scrive Agostino, apparso con gran successo nel 1944. Dopo il matrimonio con la Morante, inizia per lo scrittore un periodo di fuga, latitanza e sbandamento: il suo nome è sulle liste della polizia fascista come «sovversivo».
Dopo l’8 settembre del ’43, fugge da Roma con la Morante e si rifugia a Fondi, in Ciociaria. «Fu questa la seconda esperienza importante della sua vita, dopo quella della malattia». E da quell’esperienza nascerà il romanzo
La ciociara (1957). Nel 1944, durante l’occupazione tedesca, vengono pubblicati i racconti de
L’epidemia e il saggio
La Speranza, ovvero Cristianesimo e Comunismo. Dopo la liberazione, torna a Roma e riprende una fitta attività letteraria e giornalistica, collaborando a «Il Mondo», «L’Europeo», e al «Corriere della Sera». Su quest’ultimo giornale, tra l’altro, dagli anni Cinquanta fino alla morte, la presenza di Moravia sarà costante: con una fitta serie di réportages, riflessioni e racconti.
Nel
dopoguerra inizia la sua fortuna letteraria e cinematografica. Dopo la pubblicazione de
La romana, (1947) escono i racconti lunghi
La disobbedienza (1948),
L’amore coniugale e altri racconti (1949) e il romanzo
Il conformista (1951). Non solo, ma iniziano anche le traduzioni dei suoi romanzi all’estero e le realizzazioni di film tratti dai suoi racconti e romanzi:
La provinciale (1952) con la regia di Mario Soldati,
La romana (1954) di Luigi Zampa,
Racconti romani (1955) di Gianni Franciolini,
La ciociara (1960) di Vittorio de Sica,
Agostino e la perdita dell’innocenza (1962) di Mauro Bolognini,
Il disprezzo (1963) di Jean-Luc Godard,
La noia (1963) di Damiano Damiani,
Gli indifferenti (1964) di Francesco Maselli,
Il conformista (1970) di Bernardo Bertolucci,
Io e lui (1973) di Luciano Salce e così via via fino a
L’attenzione di Giovanni Soldati (1985). Vanno ricordate, inoltre, le sceneggiature di
Un colpo di pistola (1941) e
Zazà (1943) di Renato Castellani, e le collaborazioni, nei primissimi anni del dopoguerra, a Il cielo sulla palude di Augusto Genina e a La freccia nel fianco di Alberto Lattuada.
Nel 1952 - anno in cui gli viene assegnato il Premio Strega per
I racconti, appena pubblicati – tutte le sue opere sono messe all’
Indice dal Sant’Uffizio.
L’anno successivo fonda a Roma, insieme con Alberto Carocci la rivista «Nuovi argomenti», su cui scriveranno Jean-Paul Sartre, Elio Vittorini, Italo Calvino, Eugenio Montale, Franco Fortini e Palmiro Togliatti. Moravia dirigerà la rivista fino all’ultimo: dal ’66 insieme con Carocci e Pasolini, a cui si aggiungeranno Attilio Bertolucci e Enzo Siciliano; mentre a Milano nel 1982, i direttori della terza serie saranno, oltre a lui, Siciliano e Sciascia.
Nel ’54 pubblica
I racconti romani (cui viene assegnato il Premio Marzotto), il romanzo
Il disprezzo e, su «Nuovi argomenti», il saggio
L’uomo come fine, scritto fin dal 1946. Negli anni successivi scrive la prefazione al volume del Belli,
Cento sonetti, al
Paolo il caldo di Vitaliano Brancati e a Passeggiate romane di Stendhal. Nel ’57 comincia a collaborare all’«Espresso», su cui curerà una rubrica cinematografica: alcune di quelle recensioni nel 1975 saranno pubblicate nel volume
Al cinema.
Negli
anni Cinquanta Moravia si accosta anche alla scrittura teatrale e per il teatro scrive
La mascherata e Beatrice Cenci. Frutto di un primo viaggio nell’Unione Sovietica, nel ’58 esce il saggio
Un mese in URSS.
Dopo la pubblicazione nel ’59 dei
Nuovi racconti romani, nel 1960 l’uscita del romanzo,
La noia (vincitore nel ‘61 del Premio Viareggio), segna nella sua carriera un successo simile a quello ottenuto con
Gli indifferenti e
La romana. Cresce così la sua fama di sottile indagatore della vita sessuale, di intellettuale impegnato a sinistra, di leader del mondo letterario romano, e la sua figura diviene sempre più bersaglio dei conservatori e dei conformisti. Negli anni successivi, poi, in virtù del suo giudizio sicuro su qualsiasi evento culturale, politico e sociale, Alberto Moravia diverrà una sorta di di maître à penser.
Nell’aprile del ’62 si separa da Elsa Morante, lascia l’appartamento romano in Via dell’Oca e va a vivere in Lungotevere della Vittoria con la giovane scrittrice Dacia Maraini. In quello stesso anno escono sia
Un’idea dell’India (a seguito del viaggio nel ‘61 in India, con la Morante e Pasolini), sia
L’automa, il primo di tre volumi di racconti sul tema dell’alienazione, già apparsi sulla terza pagina del «Corriere della Sera». Seguiranno gli altri due volumi,
Una cosa è una cosa (1967) e
Il paradiso (1970). Nel ’63 nel volume dal titolo
L’uomo come fine e altri saggi raccoglie, invece, svariati saggi scritti a partire dal ’41. Dopo la polemica con Il Gruppo 63, nel ’65 pubblica
L’attenzione, un esperimento di “romanzo nel romanzo”.
A partire dal ’66 - anno in cui in occasione del festival del Teatro contemporaneo viene rappresentato
Il mondo è quello che è - Moravia si occupa sempre più di teatro. Con Dacia Maraini ed Enzo Siciliano fonda la compagnia teatrale «del Porcospino», che ha come sede il teatro di Via Belsiana a Roma. Vi vengono rappresentate L’intervista dello stesso Moravia,
La famiglia normale di Dacia Maraini, Tazza di Enzo Siciliano e opere di C.E. Gadda, Wilcok, Strindberg, Parise e Kyd. Per mancanza di fondi l’esperimento si interromperà nel ’68. Nel ’67 Moravia spiega le sue idee sul teatro moderno in
La chiacchiera a teatro, pubblicata su «Nuovi argomenti». Sempre nel ’67 insieme a Dacia Maraini, si reca, oltre che in Giappone e in Corea, anche in Cina. Le sue corrispondenze per il «Corriere della Sera» vengono riunite nel volume
La rivoluzione culturale in Cina, uscito nel 1968 - anno in cui, tra l’altro, Moravia viene contestato in diverse occasioni dagli studenti.
Dopo
Il dio Kurt (1968), nel ’69 pubblica
La vita è gioco, rappresentato nel 1970 al teatro Valle di Roma con la regia della Maraini. Con un intervento su
L’informazione deformata commenta l’attentato dinamitardo alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano.
Dopo l’uscita del nuovo romanzo
Io e lui e la pubblicazione del saggio
Poesia e romanzo (1971), nel ’72 intraprende dei lunghi viaggi in Africa, da cui nascerà
A quale tribù appartieni? (1972). Seguiranno altri due libri sull’Africa:
Lettere dal Sahara (1981), una raccolta di articoli scritti tra il ’75 e l’81 come “inviato speciale” del «Corriere della Sera»; e
Passeggiate africane (1987).
Nel 1973 esce un nuovo libro di racconti (già apparsi sul «Corriere della Sera»),
Un’altra vita, seguito nel ’76 da un’altra raccolta Boh. Nel 1978 esce il romanzo tanto atteso, a cui ha lavorato per ben sette anni,
La vita interiore.
Quindi, nel 1980, dà alle stampe la raccolta di saggi Impegno controvoglia, mentre il romanzo
1934 e la raccolta di fiabe
Storie della Preistoria escono nel 1982, anno in cui fa un viaggio in Giappone, fermandosi ad Hiroshima. A tal riguardo, per l’«Espresso» farà tre inchieste sul problema della bomba atomica. E proprio sull’incubo della bomba atomica e sul dissidio tra la cultura umanistica e quella scientifica è centrato il romanzo edito nell’85,
L’uomo che guarda.
Nel 1983 esce la raccolta di racconti La cosa, dedicata a Carmen Llera, la sua nuova compagna, una donna spagnola di quasi quarantasette anni più giovane di lui, che sposerà nel 1986, suscitando grande clamore. Tra il 1984 e il 1989 è deputato al Parlamento europeo, eletto come indipendente nelle liste del Pci.
Sul «Corriere della Sera» nel 1984 inizia una corrispondenza da Strasburgo, il
Diario europeo. Nell’86 pubblica in volume,
L’angelo dell’informazione e altri scritti teatrali,
L’inverno nucleare (a cura di Renzo Paris) e il primo volume delle
Opere (1927-1947), a cura di Geno Pampaloni. Il secondo volume delle
Opere (1948-1968), a cura di Enzo Siciliano, uscirà nel 1989. Nel 1987 dà alle stampe
Il viaggio a Roma, e nel 1990
La villa del venerdì e
Vita di Moravia, scritta assieme a Alain Elkann. Il 26 settembre 1990, alle nove del mattino, Alberto Moravia muore nella sua casa di Roma.
Postumi escono, nel 1993,
Romildo (a cura di Enzo Siciliano), una prima raccolta di racconti rimasti sepolti nelle pagine dei quotidiani e delle riviste, cui è seguito nel 2000 un secondo volume,
Racconti dispersi.
A dieci anni dalla morte, una serie di articoli giornalistici, di incontri ed iniziative, di tipo editoriale e non, ha ricordato Alberto Moravia.
Sulle pagine del «Corriere della Sera», il 6 settembre 2000, Antonio Debenedetti pubblica in prima pagina un articolo dal titolo:
Dieci anni dopo.
Quegli amici smemorati di Moravia, e accende così nei giorni successivi un’interessante discussione, in cui sono intervenuti molti degli amici dello scrittore romano.
Negli articoli
Una specie di porcile con un'anima, e
Il ricordo dei Mosillo, la Redazione Virtuale de «La Libreria di Dora» fornisce alcune testimonianze dirette sul soggiorno di Moravia a Fondi insieme alla Morante.
Inoltre, in esclusiva per «
La Libreria di Dora», Roberta Simonis, editrice della rivista internazionale «Sahara», rievoca un incontro fortuito con Alberto Moravia, durante uno dei suoi viaggi di studio nello Yemen del Sud, tra il dicembre 1989 e gennaio 1990.
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